Scream Angel (in Italian)


Scream Angel

written by Douglas Smith

translated by Elisabetta Vernier

illustrated by Giuseppe Festino


Smisero di accanirsi su Trelayne quando si accorsero che godeva a ogni percossa. I balordi che si spacciavano per poliziotti in quella città su Extremis si allontanarono dal punto in cui egli giaceva in posizione fetale sul pavimento lurido, come se fossero in presenza di un cadavere o qualcosa di pericoloso. Li seguì con lo sguardo mentre richiudevano la porta della piccola cella gelida. Nei loro occhi vi era disgusto e qualcosa che assomigliava alla paura. Il sapore del disprezzo che mostravano nei suoi confronti mescolato al gusto pungente del proprio sangue in bocca.

E lo Scream, che in quello stesso sangue scatenava dentro di lui un altra fitta di piacere.

Era una reazione che si aspettava. La Merged Corporate Entity custodiva bene i propri segreti, e lo Scream era il più prezioso. Extremis era distante dai pianeti che ospitavano progetti della Entity, e molto lontano dalla rotta di balzo che collegava la Terra alla frontiera. Per questo l’aveva scelto.

Il suono dei loro passi si affievolì e la porta esterna del magazzino di plastacciaio che era utilizzato come prigione cittadina si chiuse, risuonando di echi metallici.

Finalmente solo, si rotolò sul pavimento, sistemandosi su un fianco, assaporando l’agonia che quel movimento gli causava. Cercò di ricordare come era finito lì, ma lo Scream dentro di lui trasformava ogni tentativo in una giostra emotiva. Alla fine gli tornò in mente l’immagine di qualcosa che bruciava, qualcosa che...

... cadeva.

Era stato uno dei loro spettacoli migliori.

Ora ricordava. Ricordava la notte precedente, quando – in piedi in mezzo all’arena sotto il loro tendone da circo improvvisato – aveva presentato gli artisti a una folla annoiata, gridando a uno a uno i nomi dei dannati, i conquistati. Ogni membro della sua banda di rifugiati spuntava da dietro un sipario rosso e stracciato e avanzava nella maniera più congeniale alla propria specie, all’interno o sopra l’arena, a seconda del numero che spettava loro.

Sapeva bene che il numero non aveva importanza. La folla non accorreva per vedere dimostrazioni di acrobazia o di forza, ma per fissare a occhi sbarrati quelle strane creature di altri mondi, a guardare gli alieni che si inchinavano, sottomessi, davanti al potente essere umano.

Il circo di Trelayne era formato da superstiti di razze soggiogate provenienti da una dozzina di mondi, vittime dei progetti di estrazione delle materie prime o di terraformazione della Entity: i Cuccioli di Pietra, pesanti bestie di silice dal dorso coperto di scaglie d’ardesia, Guppert il Forzuto, un profugo tarchiato e dalle gambe corte fuggito dalla gravità schiacciante e dalle ancora più schiaccianti miniere di Mendlos II, Feran, il ragazzo volpe, il cui popolo era cacciato e ucciso come bestie su Fandor IV.

E gli Angeli. Sempre gli Angeli.

Ma raggomitolato nella sporcizia dentro la gelida cella, ricordando la notte prima, Trelayne scacciò dalla sua mente il pensiero degli Angeli. E il pensiero di lei.

Già, era stato proprio un bello spettacolo. Fino a quando il Ta’lona era morto in un’esplosione di sangue e luce abbagliante mentre si librava sull’arena, troppo vicino a una torcia. Trelayne aveva comprato la libertà di quella creatura a forma di sacca gassosa una settimana prima da un mercante di schiavi IP, sapendo che la sua specie era stata quasi cancellata dall’esistenza.

Quando i frammenti del grasso alieno avevano iniziato a cadere sulla folla, la percezione della realtà di Trelayne era andata in pezzi come uno specchio di un luna-park colpito da un martello. Riusciva a richiamare alla memoria soltanto dei flash di ciò che era accaduto la notte precedente: persone in fiamme, urla, il panico generale e poi una stampede verso le uscite, quindi l’arresto.

Non riusciva neppure a ricordare di aver assunto lo Scream. Di solito preferiva restare sobrio prima di uno spettacolo. Ma sapeva come si sentiva ora, all’interno di quella cella: la gioia delle percosse, l’estasi dell’umiliazione. Doveva essersi fatto una dose quando era iniziato il caos e l’odore di carne bruciata era giunto fino alle sue narici. Per sfuggire all’orrore.

O per immergervisi. Perché con lo Scream l’orrore ti apriva le porte del paradiso.

Qualcuno, nella cella, si schiarì la voce. Trelayne sobbalzò, rabbrividendo per la sorpresa. Si rotolò sul pavimento con un gemito, schiena a terra, poi aprì gli occhi, lottando per riuscire a orientarsi.

Ora, sulla branda della cella c’era seduto un uomo. Un uomo con il viso sottile e degli occhi che a Trelayne ricordarono i propri. Indossava una lunga tunica grigia su cui spiccavano i gradi di maggiore e una piccola spilla che raffigurava un pianeta verde attraversato da una saetta, sormontato da una scritta rossa che diceva RIP.

L’uniforme della RIP Force. Un’uniforme che anche Trelayne aveva indossato, una vita fa. Il colore grigio indicava che si trattava di un operatore dei Servizi Speciali: l’uomo era della RIP, ma non era uno Screamer. La RIP ci teneva che gli ufficiali superiori e gli SS restassero puliti.

L’uomo osservò lo schermo dell’unità PerComm che reggeva in una mano guantata di nero, poi abbassò lo sguardo verso Trelayne e sorrise.

– Salve, capitano Trelayne – disse, con il tono suadente che si usa con i bambini.

Trelayne inghiottì a vuoto. Tremava, e si accorse di aver iniziato nell’istante in cui aveva riconosciuto l’uniforme dell’altro uomo.

– Non mi chiamo Trelayne.

– Io mi chiamo Weitz – disse l’altro. La PerComm sparì all’interno della sua tunica. – E il campione di sangue che le ho prelevato conferma che lei è Jason Lewiston Trelayne, ex capitano e comandante di compagnia della Forza di Rilocazione Popolazioni Indigene della Entity, conosciuta come RIP Force. Condannato in contumacia per alto tradimento tre anni fa, in data 2056-12-05. Dato per morto durante il raid della Entity sulla base ribelle di Darcon III in data 2057-08-26.

Trelayne si umettò le labbra, assaporando il gusto della paura.

– Lei è un ricercato, Trelayne. – Weitz parlò a bassa voce. – O lo sarebbe, se la Entity sapesse che lei è ancora vivo.

Lo Scream nelle vene di Trelayne trasformò la minaccia insita in quelle parole in un brivido di piacere che corse lungo la sua schiena. Ridacchiò.

Weitz sospirò.

– Non ho mai visto uno Screamer sopravvivere tre anni fuori dalla RIP. Di solito si tolgono la vita entro un mese. Ma in fondo, la maggior parte di essi non dispone di un proprio fornitore, è così?

I sottintesi in quelle parole penetrarono il muro di Scream che circondava la mente di Trelayne. Weitz rappresentava un pericolo reale: per lui e per coloro che, nel circo, si fidavano di lui. Per lei.

Trelayne lotto per concentrarsi sulle parole dell’uomo.

– … una buona scelta – stava dicendo Weitz. – È un punto per cui la Entity non nutre alcun interesse, in questo momento. Non si sono mai visti Ripper da queste parti – disse, con un sorriso – a meno che non avessero problemi con la propria nave. Ero nella città più vicina quando mi è arrivata la voce di una rivolta in un circo di IP.

IP, abbreviazione di popolazione indigena. Era il termine gergale usato dai Ripper per indicare gli alieni.

Weitz si alzò in piedi.

– So che possiede una coppia di Angeli, capitano, e mi servono. – Aprì la porta della cella con una spinta e uscì, lasciandola aperta. – Ho fatto in modo di farla scarcerare. È libero di andarsene. Non che possa andare molto lontano. Ci vedremo presto per un’altra chiacchierata. – Guardandosi alle spalle verso il punto in cui Trelayne giaceva in preda ai tremiti, Weitz scosse il capo.

– Gesù, Trelayne. E pensare che un tempo eri il mio eroe.

Trelayne si lasciò ricadere sul pavimento e quando l’odore di sporcizia e di urina rancida gli artigliò la gola, sorrise.

– Un tempo ero un sacco di cose – disse, più a se stesso che a Weitz.

Weitz tornò a scuotere il capo.

– Ci vediamo presto, capitano.

Poi si voltò e lasciò il capanno.



Pensate alle emozioni umane come a una funzione sinusoidale. Picchi e gole. I picchi rappresentano il piacere, le gole il dolore. Maggiore è il piacere, più alto è il picco, maggiore il dolore, più profonda è la gola. Immaginate una droga che prende le gole e le ribalta sull’asse orizzontale, trasformandole in altrettanti picchi. In queste condizioni, una persona reagisce a un evento non più sulla base del piacere o del dolore che esso suscita, ma unicamente all’intensità dell’emozione suscitata. Il dolore genera piacere, la tristezza porta gioia, l’orrore regala l’estasi.

Ora pensate di somministrare questa droga a una persona che deve portare a termine un compito spiacevole. No. Peggio. Qualcosa di immorale. Ancora peggio. Un atto da incubo di una brutalità terrificante e omicida. Somministratela a un soldato. Ditegli di uccidere. Non in quel fenomeno storico di omicidio di massa che chiamiamo Guerra, ma come parte di una precisa strategia aziendale –progettata, pianificata e con tanto di budget – finalizzata allo xenocidio.

Il nostro soldato ucciderebbe. E godrebbe nel farlo.

Benvenuti nel mondo dello Scream.

-- Frammento del contenuto della bomba di dati propagandistici lanciata sul ComCon di Fandor IV dalle forze ribelli in data 2056–10–05. Attribuito al capitano Jason L. Trelayne durante il processo che lo ha condannato in contumacia per alto tradimento.


Secondo Feran, lo spettacolo di quella notte era stato il migliore dal giorno in cui il meraviglioso Ta’lona era morto, ormai cinque giorni prima. Da dietro il sipario rosso che celava l’ingresso degli attori, il giovane cucciolo di volpe osservava i due Angeli, Philomela e Procne, gettarsi in picchiata dalla cima della cupola sorvolando la folla di umani. Ripensando con meraviglia a come era bruciato il grasso alieno, Feran si ricordò anche di quando il capitano gli aveva spiegato quanto quella notte era stata sfortunata. Il capitano era stato costretto a dare molta droga-della-forza agli umani rimasti ustionati e altre cose che Feran non aveva capito.

Gli Angeli completarono una complessa picchiata con avvitamento, intrecciando i loro percorsi di discesa. Congiungendo le braccia appena sopra l’anello principale, terminarono con una piroetta da far girare la testa, come la trottola che il capitano gli aveva costruito. Fecero un inchino alla folla che applaudiva, aprendo e richiudendo le loro ali diafane per far scintillare i colori sotto i riflettori.

Feran batté le mani pelose come gli aveva insegnato Mojo, chiudendo le pieghe delle orecchie per attutire il doloroso rumore prodotto dagli umani. Mentre gli artisti sfilavano via per la processione finale intorno all’anello centrale, Feran corse a occupare il suo posto dietro i Cuccioli di Pietra. Guppert il Forzuto lo sollevò delicatamente per appoggiarlo sulla schiena nera come l’ardesia della più vicina bestia di silice.

– Bello spettacolo, piccolo amico – esclamò Guppert. Il suo corpo tarchiato si mosse ondeggiando per affiancarsi a Feran. A Guppert piaceva Extremis perchè non lo attirava verso terra con la stessa forza del suo pianeta natale, Mendlos.

– Certo, Guppert ora non torna più a casa – aveva detto a Feran una volta, con la pelle che andava scurendosi per mostrare tristezza. – Lontano da troppo tempo. Mendlos schiaccia Guppert, come se Cucciolo di Pietra cammina su Feran. Ma con soldati terrestri con esoscheletro, ora Mendlos non è più casa, comunque.

Salutando la folla, gli artisti scomparvero a uno a uno dietro il sipario rosso. Feran saltò giù dalla groppa del Cucciolo di Pietra, gridò un saluto a Guppert e corse a cercare Philomela. Fuori dal tendone del circo, sniffò l’aria fresca della notte in cerca del suo odore, lo trovò, si voltò per seguirlo ma andò a sbattere contro Cutter.

– Hey, Rosso! Vai di fretta? – L’uomo alto e magro guardò Feran con occhi torvi, come una mantide religiosa infuriata. Cutter era “quello che taglia”, cioè il guaritore del circo. “Piuttosto aiuto la gente a morire più comodamente, per gradi”: era così che Cutter si era presentato quando Feran si era unito al gruppo.

– Cerco la regina delle creature alate, Cutter – gli rispose Feran.

Con un sospiro, Cutter indicò con un gesto del pollice il gruppo di piccole cupole dove vivevano gli attori. Feran la considerava la zona delle tane.

– Non lasciare che ne prenda troppa, hai capito?

Feran annuì e corse via, finché una voce dolce come il vento che soffia in una foresta di cristallo lo fermò.

– Sei stato bravo stanotte, orecchie a punta.

Feran si voltò. Capelli bianchi e colorito pallido, Philomela gli rivolse un sorriso, magra e sottile come l’immagine di una donna terrestre allungata da uno specchio deformante fino a diventare qualcosa di alieno. Anche quando camminava, a Feran veniva da pensare al volo degli uccelli. Philomela era bellissima. Il capitano gliel’aveva ripetuto così tante volte. Probabilmente glielo avrebbe ripetuto anche stanotte, dopo aver respirato la polvere che lei produceva e che Feran gli portava.

– Grazie, regina delle creature alate – rispose Feran, producendosi in un inchino profondo accompagnato da un elegante gesto ad arco del braccio, proprio come gli aveva insegnato il capitano. Philomela rise e Feran mostrò i denti per la felicità. Era riuscito a far ridere la bellissima dama uccello. Il capitano ne sarebbe stato felice. Procne spuntò da dietro Philomela, circondandole la vita sottile con una mano, così esile da assomigliare a un ragno.

– Dove andrai adesso, Feran? Mojo ha ancora dei compiti ingrati per te? – Le assomigliava molto ma era più alto, di corporatura più pesante, ma i suoi lineamenti erano sempre delicati, quasi femminei. La pelle della sua tasca ventrale si increspava ogni volta che la covata, dentro di lui, si muoveva.

– Va alla cupola del capitano – rispose Philomela. – Parlano dei tempi in cui il capitano volava sulle astronavi. È così?

Feran annuì. Le palpebre laterali di Procne si chiusero sui suoi occhi, lasciando aperta solo una sottile fessura verticale. – I tempi in cui le astronavi volavano sulle nostre case, intendi dire? Anche sulla tua, Feran.

Procne si voltò di scatto e se ne andò, le ali strette contro la schiena.

Feran rimase a fissarlo mentre si allontanava, poi sollevò lo sguardo verso Philomela.

– Ho fatto qualcosa di male, regina delle creature alate?

Philomela raccolse e distese le ali.

– No, piccolo, no. Il mio compagno vive troppo di ricordi, eppure dimentica troppe cose. – Tacque per un attimo. – Proprio come il capitano.

Accarezzò il pelo di Feran in quel punto in cui era rosso e morbido,tra le grandi orecchie, poi gli consegnò un sacchetto.

– Feran, stanotte non lasciare che il capitano respiri troppo della mia polvere. Fallo andare a dormire presto. Sembra così... stanco.

Feran prese il sacchetto e annuì. Decise che non avrebbe riferito al capitano dell’espressione che aveva colto sul viso di Philomela mentre si allontanava.


>>>>>>>>>>>>>>>>>> Merged Corporate Entity, Inc. >>>>>>>>>>>>>>>>

Domanda di ricerca progetto
Data della ricerca: 2059–06–02
Richiedente: Weitz, David R., maggiore, RIP Servizi Speciali
Criteri di ricerca:
Pianeta: Tutti Divisione: PharmaCorps
Prodotto: Scream Contesto: Uff–Op / Post–Imp
Livello di sicurezza richiesto: AAA Livello di sicurezza posseduto: AAA

>>>>>>>>>>>>> Accesso consentito: seguono risultati ricerca >>>>>>>>>>>

Lo Scream imita l’azione di diverse classi di sostanze psicotrope, inclusi gli stimolanti psicomotori, antidepressivi e analgesici narcotici. Agisce sui neurotrasmettitori di tipo stimolatorio e inibitorio, ma evita gli effetti allucinogeni mantenendo intatto l’equilibrio dei neurotrasmettitori. Esalta le capacità sensoriali, velocizza la reazione muscolare e diminuisce la risposta nervosa al dolore. Agisce su tutti e tre i recettori oppiacei, inducendo un’intensa sensazione euforica ma senza la sonnolenza tipica dei narcotici.

L’assuefazione si ottiene dopo quattro o sei ingestioni secondo il dosaggio prescritto sul manuale dell’Ufficio Operazioni versione 2.21.7.1. Il personale sottoposto a esso mostra una resistenza alla violenza significativamente minore. Benefici secondari per l’Ufficio Operazioni includono la riduzione della fatica, il ritardo dell’insorgere del sonno ed l’esaltazione delle capacità intellettive.

Gli effetti collaterali includono incontrollabili tendenza masochiste o sadiche come l’automutilazione o l’impulso di aggredire altri soldati. Per questo motivo lo Scream non deve essere somministrato fino a che il soggetto non abbia completato la programmazione militare alla disciplina e all’obbedienza prevista durante l’addestramento. Complicanze a lungo termine includono psicosi paranoiche e depressione con tendenze suicide. Le crisi di astinenza sono caratterizzate da allucinazioni, delirio e convulsioni seguite da colpo apoplettico o attacco cardiaco.

I tentativi di sintetizzarlo si moltiplicano, ma al momento l’unico metodo per ottenere lo Scream è l’estrazione dalle femmine della razza umanoide dominante di Lania II, Xeno sapiens lania var. Angelus (comunemente noti come Scream Angel). Il liquido da esse secreto cristallizza sotto forma di polvere. Poiché la produzione di questa droga è legata al ciclo riproduttivo (vedere Xenobiologia: Lania: Forme viventi: 1275), per assicurarsi l’approvvigionamento è necessario compilare un inventario delle coppie di riproduttori con data di maturazione della covata ben ripartita lungo...


*** Richiesta di trasferimento file autorizzata ***

File Xenobiologia: Lania: Forme viventi: 1275

La femmina adulta produce la droga in modo continuo attraverso le ghiandole mammarie, ma con concentrazioni maggiori durante il ciclo riproduttivo. L’accoppiamento sessuale avviene sia all’inizio che alla fine del ciclo. Il primo atto sessuale fertilizza la femmina. La covata si sviluppa dentro di lei per trenta settimane, in quella che il Teplosky Journal originale chiama “forma larvale”, e viene poi trasferita nella tasca ventrale del maschio attraverso gli orifizi della sua parete addominale. Per le restanti nove settimane, le larve si nutrono dal maschio, che ingerisce grandi quantità di Scream prodotte dalla femmina. L’imminente rilascio della covata nella forma di pulcini maturi fa sì che il maschio dia inizio all’accoppiamento finale...


Trelayne se ne stava sdraiato nella sua cuccetta, in attesa dell’arrivo di Feran e della dose di Scream che il cucciolo gli portava ogni notte. L’incontro con Weitz aveva fatto crollare la diga che tratteneva i ricordi del passato e ora la sua mente ne era inondata. Chiuse gli occhi, il viso rigato di deliziose lacrime. Anche se tutti i suoi sogni erano incubi, non li temeva. Ora il terrore era soltanto un’altra forma di piacere. Almeno il sonno lo liberava dalle decisioni che lo tiranneggiavano.

Ho di nuovo vent’anni. La mia prima missione. Mi ricordo... Ricordo? Venderei l’anima per dimenticare, se ho ancora un’anima da barattare.

Corpi che cadono nel cielo grigio come l’ardesia...

Le navi da trasporto RIP su Fandor IV erano enormi sferoidi schiacciati ai poli, appiattiti e più larghi nel mezzo che alle estremità. Trelayne e quasi un centinaio di altri Ripper occupavano i sedili da lancio collocati lungo tutto il perimetro del comparto principale, rivolti verso l’interno con i posti per gli ufficiali più vicini alla cabina di pilotaggio. Davanti a loro, un centinaio di indigeni di Fandor se ne stavano rannicchiati sul pavimento di metallo, con gli occhi bassi ma gli sguardi che saettavano costantemente qua e là per osservare la stiva e i loro carcerieri. Gli adulti erano umanoidi alti circa cinque piedi, ma il soffice pelo facciale rossiccio, i musi e le orecchie appuntite davano loro un aspetto ferino. A Trelayne i piccoli ricordavano un orsacchiotto di peluche che aveva da bambino.

Fresco d’addestramento RIP, quella doveva essere la sua prima missione. Quei Fandoriani provenivano da un villaggio che sorgeva su una serie di ricchi depositi di minerale che presto sarebbero diventati una delle miniere della Entity. Dovevano essere “rilocati” su un’isola a largo della costa occidentale. Aveva aggiunto le virgolette in risposta a un sospetto che andava crescendo dentro di lui, alimentato dalle battute che i veterani della RIP si scambiavano tra loro. Si ricordava anche di quando, mentre giungeva su Fandor, aveva osservato l’oceano durante la manovra di avvicinamento della base RIP alla costa occidentale.

Al largo non c’era nessuna isola.

Gli altri Ripper si agitavano nervosamente, ansiosi di ricevere la prima dose della giornata. Il sistema di supporto vitale delle loro tute operative rilasciava lo Scream direttamente nel loro sangue, una volta che ciascuna tuta riceveva il comando trasmesso dal comandante della loro unità della RIP Force. Se volevi la tua dose di Scream, indossavi la tuta e obbedivi agli ordini. E per dio, la dose di Scream la volevi eccome. La sua unità aveva iniziato ad assumere lo Scream fin dalla conclusione dell’addestramento. Trelayne sapeva di essere assuefatto. Sapeva che la RIP voleva che lui e tutta la sua unità ne fossero dipendenti. Non sapeva perchè. Aveva anche notato che nella sua unità nessuno aveva una famiglia. Nessuno avrebbe sentito la loro mancanza. Un’altro buon motivo per obbedire agli ordini.

A venti minuti di volo dalla costa, un maggiore si sganciò le cinture di sicurezza che li proteggevano dalle intense accelerazioni della nave, e fece un cenno col capo al capitano che sedeva alla sua destra. Tutti i Ripper osservarono il capitano premere un bottone sul dispositivo da polso che indossava. Lo Scream arrivò come il dolore di una vecchia ferita, come un amico che non vedi da anni e che, quando lo ritrovi, ti chiedi perchè ti mancasse.

Il capitano abbaiò nei loro auricolari, ordinando di sganciare anche loro le cinture.

Trelayne e gli altri Ripper si alzarono in piedi come un solo uomo, con i manganelli folgoratori carichi e pronti a colpire, lo Scream dentro di lui che distorceva la sensazione di orrore crescente, trasformandola nell’avida attesa dell’estasi. I Fandoriani si strinsero più vicini al centro della stiva.

Il capitano premette un secondo bottone. Quando il portellone centrale della stiva iniziò ad aprirsi, Trelayne sentì il ponte vibrare attraverso le suole degli stivali. I Fandoriani balzarono in piedi, stringendo a sé i loro piccoli e arretrando per allontanarsi dall’apertura che andava allargandosi, soltanto per trovarsi faccia a faccia con un muro di Ripper, che avanzava verso di loro con i manganelli folgoratori tesi in avanti.

Qualcuno dei Fandoriani scelse di lanciarsi nel vuoto. Qualche altro fu spinto oltre il ciglio dalla sua stessa gente in preda al panici. Altri morirono sotto le scariche dei manganelli, altri ancora raggomitolati sui propri piccoli.

Trelayne tirò fuori un cucciolo da sotto il corpo di una femmina morta: non doveva avere più di un anno. Lo tenne in braccio, aspettando il suo turno mentre i Ripper davanti a lui sollevavano o spingevano i corpi rimasti fuori dal portellone della stiva. Il piccolo non si agitava e non piangeva: si limitava a fissarlo con una muta espressione d’accusa. Trelayne lo lasciò cadere, poi si inginocchiò per guardare oltre il bordo.

Un vento salato gli penetrò nelle fessure dell’elmetto, freddo e pungente. Guardò il cucciolo cadere e colpire la superficie grigia del mare agitato, un centinaio di piedi sotto di loro. La maggior parte dei corpi era già affondata sotto la superficie delle onde. Il cucciolo scomparve, unendosi a loro.

Trelayne fu colto da un attacco di nausea che neppure lo Scream riuscì a placare. Allontanandosi dal bordo, si strappò il visore dalla faccia e respirò a pieni polmoni. Un Ripper che gli stava a fianco si voltò a guardarlo e per un breve istante Trelayne vide il proprio volto riflesso sulla superficie a specchio del suo visore. L’immagine si impresse a fuoco nella sua memoria, mentre lottava per riconciliare l’orrore che provava con la maschera sorridente che era la sua faccia...

Continuava a sognare... continuava a cadere... continuava a innamorarsi.

Trelayne divenne capitano in un anno, il grado massimo a cui uno Screamer poteva aspirare nella RIP. Non ne andava fiero. Quando il livello di Scream nel suo sangue si abbassava, il senso di colpa lo assaliva, nero e senza fondo. Ma ormai la sua assuefazione era completa. Per uno Screamer, una crisi d’astinenza significava settimane di agonia senza il filtro dello Scream, poi la morte. La Entity era la sua unica fonte di droga. Così faceva ciò che gli veniva ordinato.

I Ripper si bruciavano in fretta sui mondi di progetto, così la Entity organizzava delle rotazioni semestrali su ruoli non-riloc per un tour di quattro settimane su un mondo già “processato”. Il primo tour di Trelayne dopo la promozione a capitano era stato su Lania, il pianeta natale degli Angeli, per organizzare il trasporto di coppie di riproduttori da Lania ai mondi di progetto in cui erano di stanza unità della RIP Force. La Entity aveva scoperto che, tenendo una coppia di Angeli sul pianeta, poteva smettere di preoccuparsi degli approvvigionamenti di Scream.

Fare sesso con un Angelo – così dicevano i veterani della RIP – era il massimo dello sballo. Ma quando era giunto su Lania, Trelayne li aveva trovati troppo alieni, troppo esili, somiglianti a spettri. Si disse che la loro reputazione doveva essere dovuta più agli effetti dello Scream non tagliato durante il sesso che alla loro bellezza eterea.

Poi aveva visto lei.

Apparteneva a una gruppo di cento Angeli che venivano sospinti all’interno di una nave da carico che si sarebbe congiunta con una nave capace di compiere un balzo nell’iperspazio, in orbita intorno al pianeta. Gli Angeli sfilavano davanti a Trelayne, incespicando con gli occhi bassi. Stava per voltarsi e andare via quando la vide: incedeva a testa alta, fissando le guardie con occhi pieni di rabbia. Mentre passava davanti a lui, si voltò. I loro sguardi si incrociarono.

Ordinò che fosse cancellata dall’elenco di quel carico. Fu così che la incontrò. Prima come carceriere. Poi divenne il suo liberatore. Poi il suo amante.

Aveva assunto il nome terrestre di Philomela. Il suo nome da Angelo non poteva essere pronunciato da una bocca umana. Lei gli dava gioia e dolore. Non era mai certo di cosa le desse lui. Lei gli si dava di sua spontanea volontà e il piacere che provava quando facevano l’amore sembrava così sincero che qualche volta si concedeva di credere, di credere che in quei momenti lei si aggrappasse proprio a lui e non a un sogno disperato di libertà. Si illudeva che lei non lo odiasse per ciò che la RIP aveva fatto alla sua gente. Che lei lo amasse.

Ma lo Scream strangolava quei momenti. Anche se non prendeva più dosi da combattimento, ne aveva sempre bisogno per calmare la sua dipendenza. Con dosi basse, la sua vita trascorreva immersa nella nebbia grigia della depressione. Come poteva amarlo, lei, quando lui stesso dubitava del proprio amore? Perchè era attratto da lei? Per il sesso? Perchè era la sua fonte personale di Scream? Per lavarsi le mani dal sangue della sua gente salvando una delle vittime? E sempre, tra loro, incombeva un baratro incolmabile: erano due specie differenti che non avrebbero mai potuto accoppiarsi davvero.

La notizia lo raggiunse un pomeriggio, mentre giacevano insieme nel suo alloggio. La sua unità PerComm, appesa al muro sopra di loro, iniziò a ronzare come un insetto furibondo. La tirò giù e lesse il messaggio di Cutter, il medico della sua unità.

Lei lo osservò mentre leggeva.

– Jase, c’è qualche problema?

Aveva imparato ad aspettarsi la sua empatia. Che riuscisse a leggere la sua mimica facciale o percepisse il suo stato d’animo, non lo sapeva. Lanciò l’unità lontano da sé come se l’avesse punto e si coprì il viso con una mano.

– Mojo. Uno dei miei uomini. È caduto.

– È...

– È vivo. Non è ferito gravemente. – Come se facesse qualche differenza.

– Pensi che abbia cercato di togliersi la vita?

– No – rispose, anche se la droga dentro di lui urlava che era così.

– Molti lo fanno...

– No! Non Mojo. – Ma sapeva che lei aveva ragione. Il suicidio era diffuso tra gli Screamer, e unirsi ai caduti era un modo popolare, un tuffo che non lasciava scampo. La Entity puniva i responsabili con brutalità. Gli Screamer erano facilmente rimpiazzabili, ma un jet LASh poteva abbassare il margine di guadagno di un progetto di un intero punto percentuale.

– Ora sarà giudicato secondo le usanze del tuo popolo? – domandò lei.

– Corte marziale. Tra due settimane. – Se l’avessero dichiarato colpevole, lo avrebbero congedato. Senza più Scream. Meglio morire nello schianto, si disse. Si alzò dal letto e iniziò a rivestirsi. – Devo lasciare Lania, tornare alla base. Devo provare ad aiutarlo.

– Lo giudicheranno colpevole. Non puoi cambiare le cose.

– Lo so. Ma devo provarci. Non ha nessun altro.

Lei guardò dall’altra parte. – Abbiamo ancora pochi momenti da trascorrere insieme.

Tremava, e Trelayne si accorse che stava piangendo. Aveva frainteso.

– Tornerò presto. Poi andrà meglio.

Lei scosse il capo e lo guardò negli occhi.

– Intendevo dire che ci restano solo pochi istanti. Il mio tempo è arrivato.

Trelayne la fissò dall’alto. – In che senso?

– Devo produrre una covata – Tornò a guardare dall’altra parte.

– Vuoi dire che ti prenderai un compagno. Uno della tua gente.

– Si chiama Procne – rispose lei, sempre senza guardarlo.

Trelayne non sapeva più cosa dire né cosa fare, così continuò a vestirsi.

Philomela si voltò verso di lui.

– Ti amo – disse, piano.

Lui si fermò. La donna Angelo attese. Trelayne non disse nulla. Lei si lasciò andare sul letto, singhiozzando. Lui inghiottì a vuoto, cercò di dare forma a ciò che pensava, aprì la bocca per dirle che anche lui l’amava ma lei lo precedette.

– Cosa ne sarà di me? – domandò.

Tutti i dubbi che nutriva nei confronti di lei gli si riversarono addosso, soffocando le parole che gli germogliavano in bocca. Lei lo considerava solo la sua strada verso la salvezza. Non lo amava. Si sarebbe data a uno della sua stessa razza. Era un’aliena. Gli Angeli odiavano la RIP per ciò che avevano fatto. Anche lei lo odiava.

Si infilò il giubbotto e le voltò le spalle...

Il processo. Ci ho provato, Mojo... ma niente ci può salvare quando cadiamo, e noi abbiamo iniziato a cadere l’istante in cui ce l’hanno messo nel sangue...

Il giorno dopo il processo di Mojo, Trelayne entrò nella cupola che conteneva il campo RIP. Cutter e due altri Ripper, seduti sui letti, guardavano Mojo mentre infilava le sue poche cose in uno zaino cilindrico. Indossava i suoi vecchi abiti civili, che ora gli andavano stretti di almeno una misura. Sul braccio aveva ancora un MediStim e zoppicava leggermente.

Quando si accorsero dell’arrivo di un visitatore, gli altri scattarono sull’attenti. Cutter si limitò ad annuire. Trelayne ricambiò il saluto poi si diresse verso la porta. Dopo aver scambiato poche parole e qualche pacca sulle spalle di Mojo senza molta convinzione, gli altri se ne andarono, lasciando Trelayne e Mojo da soli.

Mojo si lasciò cadere seduto sul suo letto.

– Grazie, cap. Sei stato grande.

Trelayne sedette anche lui, sforzandosi di sorridere.

– Abbiamo perso, te lo sei scordato?

Mojo scrollò le spalle.

– Era un caso senza speranza. Lo sapevi. Siamo tutti senza speranza. È solo una questione di tempo. Se non ti fotte lo Scream, ci pensano loro. Non esiste via d’uscita per quelli come noi.

Trelayne scrutò il volto largo di Mojo.

Devo provarci, pensò tra sé. Non avremo una seconda possibilità.

– Forse una via d’uscita c’è.

Mojo strinse gli occhi a fessura, guardando per un attimo verso la porta. Aveva un’espressione triste.

– Sono con te, cap. Sempre e comunque.

Trelayne scosse la testa.

– Se ci beccano ci ammazzano.

– Sono già un uomo morto. Lo siamo tutti.

Trelayne sospirò e iniziò a parlare...

E così i caduti sognavano di tornare a volare, eh Mojo? Che pazzi eravamo. Ma per un po’ li abbiamo fatti correre, è così?

Trelayne ritornò a Lania. In sua assenza, Philomela aveva preso Procne come compagno. Si rifiutava di incontrarlo, così Trelayne fu costretto ad aggiungerla insieme a Procne al prossimo carico di Angeli che doveva essere spedito ai mondi di progetto, su una nave di cui sarebbe stato il capitano.

Riuscì a vederla soltanto dopo che la nave ebbe effettuato il primo balzo. Philomela venne convocata nella cabina del capitano, per comunicarle a quale pianeta lei e il suo compagno erano stati assegnati.

Quando entrò e lo vide, si irrigidì.

– Tu.

Trelayne annuì e attese.

– Ridurci in schiavitù per accoppiarci ed essere munti come animali non era abbastanza? Dovevi essere presente per vederlo con i tuoi occhi, vero, Jason? – Si guardò intorno. – Dov’è il capitano?

– Sono io il capitano per questo viaggio.

Lei lo guardò, confusa.

– Ma non hai mai lavorato su queste...

Trelayne sospirò.

– Ti prego, siediti. Ci sono molte cose che devi sapere...


Perchè ho rischiato tutto per salvarla? Per amore? Per senso di colpa? Per auto-punirmi? Per il suo Scream? Per un sogno disperato che lei un giorno sarebbe tornata con me? Oppure, mentre cadevo, ero disposto ad afferrarmi a qualunque cosa, anche se significava tirare giù con me tutti coloro che amavo?

Dal ponte di osservazione della nave, Trelayne e Philomela guardarono lo shuttle che si allontanava, trasportando un carico di venti coppie di Angeli per il mondo di progetto sotto di loro.

– Sai perchè ho scelto Philomela come nome terrestre? – chiese lei.

Il tono della sua voce era inespressivo, spento, ma Trelayne riusciva a percepire il dolore che ciascuno di questi mondi le dava nel momento in cui una nuova porzione della sua gente veniva strappata via dal gruppo, e lei invece restava al sicuro, protetta.

– No. Raccontami – disse.

– Una leggenda del tuo pianeta racconta di una ragazza di nome Philomela, che venne trasformata dagli dei in un usignolo. Era un concetto che mi piaceva, essere scelta dagli dei, essere assunta in cielo. Soltanto più tardi ho scoperto che l’usignolo è anche un simbolo di morte.

Trelayne chinò il capo.

– Phi, non c’è nulla che...

– No, ma consentimi almeno di essere triste. E di sentirmi in colpa.

In colpa per essere stata risparmiata. Da lui. Lei e Procne risparmiati soltanto perchè uno xenocida assuefatto e presto traditore aveva bisogno di una fonte di droga sempre a portata di mano. Aveva smesso di analizzare le proprie motivazioni oltre quel punto. Lo Scream si sarebbe preso gioco della vocina che dentro di lui parlava di uno straccio di onore e nobili intenzioni.

– Su quello shuttle c’è mia sorella – disse Philomela, piano.

Trelayne non disse nulla, perchè non c’era niente da dire. Guardarono la piccola nave scendere verso il pianeta sotto di loro.


In ogni sosta di quel viaggi, raccoglievamo gli emarginati, i reietti, i rimasugli di una dozzina di razze, insieme ai Caduti. E poi, all’improvviso, non potemmo più tornare indietro...

Il primo ufficiale di Trelayne, una giovane tenente comandante di nome Gladis, lo affrontò sul ponte. Quella volta sembrava non avere intenzione di cedere.

– Capitano, ancora una volta mi vedo costretta a esprimerle le mie preoccupazioni riguardo a continue irregolarità nel suo comando di questa missione.

Trelayne fissò il monitor affianco alla sua poltrona. Mojo e gli altri undici ex Ripper stavano sbarcando da uno shuttle in uno degli hangar della nave. In due minuti avrebbero raggiunto il ponte di comando. Digitò un codice, disattivando le comunicazioni interne e il sistema d’allarme. Si voltò ad affrontare Gladis.

– Irregolarità?

– Il carico di IP che abbiamo imbarcato in ciascuna delle tappe.

– Quella gente deve essere trasportata al Centro di Ricerca e Sviluppo della Entity, sulla Terra – ribatté Trelayne.

Gladis sbuffò.

– Che tipo di ricerca potrebbe condurre la Entity su... – Si interruppe per leggere qualcosa dallo schermo del suo PerComm. –... un soggetto di Mendlos?

– Adattamenti fisiologici a un ambiente ad alta gravità – rispose Trelayne.

– Un cucciolo Fandoriano? Un uovo di vipera di Fanarucci?

– Progettazione di sistemi biotecnologici di ricezione uditiva e sviluppo di veleni neurali mutageni.

Ancora un minuto soltanto, pensò.

Gladis esitò, mentre una buona dose di sicurezza di sé lasciava il suo viso. – Ha anche protetto una particolare coppia di Angeli riproduttori per motivi che mi sono ancora poco chiari.

– Anche loro sono destinati al centro di ricerca della Entity – Trelayne si alzò. Trenta secondi. – Sintesi dello Scream.

– Cosa mi dice di questa tappa? Non era sul piano di volo che abbiamo registrato.

– Un ordine tardivo dal comando della RIP Force.

Quindici secondi.

– Non sono stata informata.

– Lo è stata in questo momento.

Gladis arrossì.

– E quale sarebbe l’utilità di una dozzina di ex operativi della RIP Force caduti in disgrazia?

Adesso, pensò Trelayne.

La porta del ponte di comando si aprì, scivolando di lato. Mojo e altri quattro ex Ripper irruppero sul ponte, con i fucili Tanzer carichi e puntati su Gladis e il resto dell’equipaggio sul ponte. Gladis si voltò verso Trelayne con la bocca aperta per la sorpresa, poi si immobilizzò.

Anche l’arma di Trelayne era puntata contro di lei.

– La loro funzione, temo, è quella di rimpiazzare l’equipaggio di questa nave.

E così i Caduti si risollevarono, per scalare le pareti di un precipizio dal quale non c’era salvezza, e ogni nuova vetta che raggiungevamo serviva solo a rendere più lunga la caduta finale...


Dopo aver lasciato la Regina delle Creature Alate, Feran superò di corsa i tubi sigillati dei Barker, i giochi di fortuna e le cupole dove dormivano gli attori. Il cucciolo si muoveva rapido tra le corde, i rifiuti e l’attrezzatura, con il percorso chiaro nella mente anche nella poca luce delle torce scoppiettanti e l’occasionale globo fluorescente fluttuante.

Lo spettacolo usava meno globi fluorescenti di quando Feran era arrivato. Il capitano diceva che ora i globi costavano troppo. Ma a Feran non importava. Gli bastava poca luce per vedere bene e gli piaceva l’odore delle torce e il modo in cui scoppiettavano.

Dopo aver svoltato un angolo, Feran rimase immobile. Davanti alla cupola del capitano c’era l’uomo faina. Il capitano diceva che l’uomo si chiamava Weitz, ma a Feran ricordava gli animali che cacciava nel bosco, fuori dal circo. La porta si aprì. L’uomo faina scomparve all’interno.

Feran strisciò fino alla finestra aperta sul fianco della cupola. Riusciva a sentire delle voci. Arricciò il naso. Raddrizzò le orecchie, allargandole più che poteva, e le orientò fino a che non riuscì a sentire bene.


Trelayne giaceva sul letto all’interno della cupola, in preda ai tremiti dell’astinenza. Quella notte Feran era in ritardo con la dose notturna. Weitz stava comodo su una sedia e lo fissava. Erano trascorsi cinque giorni dal loro incontro in prigione.

– Dove sei stato, Weitz? – gemette Trelayne, con voce asmatica.

– Ho avuto da fare. Ti ci vuole una dose, vero?

– Sta arrivando – mormorò Trelayne. – Che vuoi?

Weitz scrollò le spalle.

– Te l’ho già detto. Gli Angeli.

– Ma non per restituirli alla Entity, altrimenti l’avresti già fatto – disse Trelayne. Ma se Weitz voleva gli Angeli, perchè non se li prendeva e basta? Aveva i suoi uomini e una nave.

Weitz sorrise.

– Lo sai che ci sono ribelli su Fandor IV?

– Ribelli? Di cosa stai parlando? – Dove diavolo era Feran?

– Ribelli ex RIP come te, o piuttosto come eri una volta.

– Come me? Mio dio, allora questi ribelli di Fandor IV mi fanno pena.

Weitz si chinò in avanti sulla sedia.

– Io sono uno di loro.

Trelayne rise.

– Tu sei un SS della RIP.

– Li appoggio dall’interno. Li approvvigiono di Scream.

Trelayne fissò Weitz, incredulo. Quell’uomo era assai più pericoloso di quando non avesse creduto all’inizio.

– Sei riuscito a stupirmi, maggiore. Perchè dovresti rischiare la vita per un pugno di ribelli?

Weitz scrollò ancora una volta le spalle.

– Ho detto che eri il mio eroe. L’uomo che sfidò un impero. Anche io voglio fare la mia parte.

Trelayne sbuffò.

– Da vero buon samaritano.

Weitz arrossì.

– Copro soltanto i miei costi. Nient’altro.

Ci scommetto, pensò Trelayne.

– Dove ti rifornisci di Scream?

– Ho... prelevato una partita durante un’ispezione dei SS in un magazzino della RIP.

– L’hai rubata. Un magazzino? Da quando è possibile immagazzinare lo Scream?

Weitz sorrise.

– È il risultato di un intenso programma di ricerca innescato dalla tua fuga con gli Angeli. Hai fatto sì che la Entity si accorgesse dei rischi di trasportare coppie riproduttive. Gli angeli ora sono tenuti in strutture di sicurezza su Lania e altri due mondi e producono lo Scream che viene trasportato via nave ai mondi di progetto che ospitano un contingente RIP. Gli Angeli vivono e muoiono senza mai lasciare la struttura in cui sono nati.

Trelayne rabbrividì. Per colpa sua.

Ma lo Scream che scorreva nelle sue vene era troppo diluito per permettergli di provare gioia per questo nuovo orrore.

Rimasero in silenzio. Alla fine fu Weitz a parlare.

– Allora, Trelayne, che è successo al grande leader ribelle? All’uomo che ha affrontato da solo la Entity? Come hai fatto a mandare tutto all’inferno?

– Gli Screamer sono già all’inferno. Stavamo cercando di uscirne.

– Ne siete usciti, rubando un incrociatore della Entity. E poi?

Tremando, Trelayne fece uno sforzo per mettersi seduto. Dov’era Feran?

– Abbiamo fatto un balzo verso un sistema che la Entity aveva già scartato. C’era soltanto un pianeta abitabile. Nessuna risorsa che valesse i costi di sfruttamento.

– E poi avete messo su una base per organizzare la guerriglia contro la Entity.

– No. Era una colonia. Una casa per le razze spogliate di tutto.

– Avete attaccato i mondi di progetto della Entity – disse Weitz.

– Abbiamo inviato dei messaggi. Non c’è mai stato alcun attacco vero e proprio.

– Le vostre bombe di dati saturavano i sistemi di comunicazione di interi pianeti.

– Cercavamo soltanto di avvertire la gente delle vere intenzioni della Entity. Ha quasi funzionato. – Trelayne lottava contro la crisi d’astinenza, cercando di concentrarsi su Weitz. L’uomo aveva paura di qualcosa. Ma di cosa?

– Accidenti se ha funzionato. Gli è costato trilioni per mettere tutto a tacere, per ripulire i sistemi. Ma poi cos’è accaduto? I rapporti finiscono lì.

– La Entity ha ancora un file su di noi? – constatò Trelayne con piacere.

– Su di te – lo corresse Weitz. – Hai un’intera sequenza di file dedicata a te. E per leggerli occorre avere pure un permesso speciale. Allora?

Trelayne tacque, ritornando a quel giorno, ricordando la sua colpa.

– Sono diventato troppo sicuro di me. In qualche modo hanno tracciato un nostro balzo, hanno trovato la colonia e l’hanno distrutta con i raggi T dall’orbita.

– Un pianeta intero? Mio dio! – sussurrò Weitz.

– Un pugno di noi è riuscito a scamparla. – Ma non i piccoli di Phi, la sua prima covata, pensò. Ancora rimorso, anche se lei non gliene aveva mai fatto una colpa.

– A bordo di un incrociatore pesante con un equipaggio di ex Ripper.

Guardò Weitz. Ecco cos’era. Anche attraverso la nebbia della crisi d’astinenza, si accorse di conoscere la risposta che cercava: Weitz pensava che Trelayne avesse ancora con sé la sua banda di ex Ripper, dei killer con riflessi sovrumani addestrati in battaglia e con la loro personale scorta di Scream. Qualcosa che assomigliava alla speranza cercò di combattere la nera disperazione dell’astinenza.

Weitz avrebbe cercato di trovare un accordo.

– E questo? – disse Weitz, indicando il circo con un gesto della mano.

– Dopo aver perso la base, siamo stati costretti a spostarci di continuo. Come copertura per ingannare il servizio immigrazione di ogni pianeta, ho inventato la storia del circo di alieni. Poi i soldi sono finiti e ho dovuto iniziare a farlo davvero.

– E se qualcuno ti avesse riconosciuto? O avesse saputo degli Angeli?

Trelayne fece uno sforzo per parlare.

– Evitavamo tutti i pianeti con una presenza della Entity, tenendoci lontani dalle rotte principali di balzo. – Prese a tremare. – Cosa te ne fai degli Angeli se hai una scorta di Scream?

– La mia scorta a un certo punto finirà, e non posso mettere in conto di rubarle altra.

Trelayne fissò Weitz negli occhi.

– Allora, qual è la tua offerta?

Weitz sorrise.

– Cosa ti fa pensare che non me li prenderò e basta?

– Contro un intero equipaggio di ex Ripper fatti di Scream?

Il sorriso di Weitz si sciolse. Studiò l’espressione di Trelayne.

– Va bene. Analizziamo la tua posizione. Uno: ho dato il codice del trasmettitore della tua nave alle forze di difesa spaziale di Extremis. Se cercherai di fuggire, ti prenderanno.

Trelayne non disse nulla.

– Due: se ti prenderanno, i tuoi amichetti IP saranno rimandati al loro pianeta d’origine. E sai bene cosa significa.

Trelayne rimase in silenzio, ma iniziò a sudare freddo.

– Tre: tu, Mojo e il medico sarete fucilati per alto tradimento.

– Come ho già detto, qual è la tua offerta?

Weitz tornò a studiare il volto di Trelayne, poi finalmente parlò.

– Entrambi gli angeli per la mia scorta di Scream, una fornitura a vita per te e i tuoi uomini. Annullerò l’ordine di fermare la tua nave e farò finta di non vedere quando tu e la tua banda farete il balzo. E la tua vita continua, con lo Scream ma senza angeli.

La vita continua, se questa la chiami vita. Tutto quello Scream valeva una fortuna. Ma il suo valore non si avvicinava neppure lontanamente a quello di una coppia di riproduttori.

Dunque era quella l’offerta. Tradire il suo amore o morire. Che scelta aveva? Rifiutarsi significava che Weitz li avrebbe consegnati alla Entity e sarebbero tutti morti. Fuggire voleva dire essere uccisi o catturati dalla flotta planetaria. Rinunciare a lei e a Procne invece avrebbe significato la libertà, almeno per tutti gli altri. Inoltre lei gli aveva voltato el spalle, aveva preso come compagno uno della sua razza. L’aveva soltanto usato per salvarsi, l’aveva sempre usato, Era un’aliena e lo odiava per quello che aveva fatto alla sua razza.

Non lo aveva mai amato davvero.

Tutto ciò che stava tra lui e quella decisione erano i rimasugli del suo amore per lei, e il fantasma del ricordo dell’uomo che un tempo era stato.


All’esterno, Feran attese la risposta del capitano all’uomo faina. Non sapeva che decisione avrebbe preso capitano, ma era sicuro che sarebbe stata onorevole e coraggiosa. Restò in ascolto, in attesa di sentire il rumore del capitano che balzava in piedi e atterrava l’uomo faina con un colpo solo. Ma alla fine fu la voce del capitano a rompere il silenzio, fievole e rauca.

– Va bene – fu tutto ciò che disse.

– Lo farai – Era la voce dell’uomo faina. Feran non sentì la risposta.

– Domani mattina. – Sempre l’uomo faina.

La porta si aprì e Feran sgattaiolò sotto la cupola. L’uomo faina uscì col sorriso sulle labbra. Feran aveva visto dei cuccioli della sabbia sorridere in quel modo su Fandor, un attimo prima di sputarti negli occhi il loro veleno.

Mentre guardava l’uomo allontanarsi, scomparendo nell’oscurità, anche qualcosa dentro di lui iniziò a spegnersi. Rimase a spiare nelle ombre per lungo tempo, poi si voltò ed entrò nella cupola. Il capitano giaceva nel posto dove era solito dormire. Sembrò non accorgersi di lui. Il cucciolo appoggiò sul tavolo il sacchetto della Regina delle Creature Alate poi se ne andò senza dire una parola.

Il capitano non lo richiamò.

Feran si aggirò per l’accampamento, per quanto tempo non sapeva dirlo. Dopo un po’ incappò in Cutter e Mojo, seduti davanti a un falò che bruciava all’interno di un vecchio pannello dello scudo termico della nave.

– Hai visto il capitano, Feran? – gli chiese Mojo. Lui si limitò ad annuire.

– Gli hai dato il biberon? Rimboccate le coperte? – domandò Cutter. Feran annuì ancora una volta mentre Mojo lanciava a Cutter un’occhiata torva.

Rimasero seduti in silenzio per un po’.

– Fa male quando perdi qualcuno che ami? – domandò Feran, vergognandosi della paura che traspariva dalla sua voce, la paura che provava per Philomela.

Cutter parlò.

– Fa ancora più male quando lo perdi lentamente. Lo guardi svanire piano piano, fino a che non resta niente di ciò che ricordi.

Feran sapeva che Cutter si stava riferendo al capitano.

– Piantala, Cutter – ringhiò Mojo. – A te non è mai successo. Soltanto uno Screamer può capire come si sente. – Accarezzò la testa di Feran. – Non ti preoccupare, piccolo.

Cutter scosse la testa, ma non aggiunse altro. Feran si alzò e si allontanò a passo lento, per tornare ad aggirarsi nell’accampamento del Circo. Questa volta, tuttavia, qualcosa dentro la sua giovane mente scattò e così, quando si ritrovò davanti alla cupola dove dormivano gli Angeli, lo interpretò come un segno che le sue intenzioni erano pure.

La Regina delle Creature Alate era da sola. Mentre le raccontava tutta la storia parlò molto poco, solo una domanda qua e là quando Feran sceglieva malamente le parole. Lo ringraziò, poi rimase seduta in silenzio, con gli strani occhi fissi sulla piccola finestra a oblò della cupola.

Feran a quel punto lasciò l’angelo, senza sapere se aveva fatto una cosa buona o malvagia ma tuttavia conscio del fatto che il suo mondo ora era un posto molto diverso da quello che era stato un’ora prima.


*** Risultati della ricerca - Continuazione ***

File Xenobiologia: Lania: Forme viventi: 1275

L’imminente rilascio di una covata di pulcini maturi spinge l’Angelo maschio a iniziare l’accoppiamento finale. Questo atto scatena nella femmina la produzione di concentrazioni maggiori di Scream. Scream è l’unico nutrimento che i nuovi nati possono ingerire appena venuti al mondo e inoltre serve ad attutire la sofferenza del maschio dopo che la covata emerge dal suo corpo. La femmina deve accogliere i pulcini nel giro di poche ore dopo l’accoppiamento finale, o muore a causa degli alti livelli di Scream nel suo sangue, che i pulcini eliminano dal suo sistema circolatorio.

Il vantaggio evoluzionistico di questo approccio riproduttivo sembra nascere dalle maggiori probabilità di sopravvivenza di una covata portata a termine dal maschio, più forte, e dalla presenza certa di entrambi i genitori al momento della nascita. Sebbene Teplosky abbia tracciato dei parallelismi con i Thendotani di Thendos IV, crediamo che...


Dopo una notte insonne, la mattina dopo Feran si alzò di buon’ora. Nel cielo grigio aleggiava una nebbia gelida. Per un’ora si aggirò fuori dalla cupola principale, cercando di trovare un modo per dire al capitano ciò che aveva fatto e perchè. A un certo punto si arrestò. Il capitano veniva verso di lui a grandi passi, con Mojo al suo fianco. Entrambi indossavano le loro vecchie tuniche lunghe e nere, dello stesso colore degli occhi del capitano.

Feran sentì tutte le paure della notte precedente svanire come neve al sole. Il capitano non aveva nessuna intenzione di gettare la spugna. Avrebbe picchiato l’uomo faina e tutto sarebbe finito bene.

Cutter uscì dalla cupola nel momento in cui il capitano e Mojo passavano davanti a Feran. Il capitano allungò una mano per spettinare il pelo sulla testa di Feran, poi il suo sguardo si spostò verso la cupola.

– Pronti?

Cutter annuì. – Tu pensa a farlo entrare.

Un grido lo fece voltare. Procne corse verso di loro, inciampando per il peso della covata che lo ingrossava. – È scomparsa! È scomparsa! – gridava. Cadde ansimando tra le braccia di Cutter.

Feran si sentì gelare dentro.

La scatola parlante fissata alla cintura del capitano fece bip. Lui se la portò al viso.

– È di Phi. Un messaggio temporizzato spedito ieri notte.

Tutti attesero che lo leggesse. Quando parlò, la sua voce era rauca come quando si faceva troppa polvere.

– Si è consegnata a Weitz. Sapeva che non avrei mai consegnato lei e Pro, che avrei combattuto. Non vuole che né io né voi rischiate di morire. – Lasciò cadere il dispositivo nella polvere. – Mi conosce meglio di quanto non mi conosca io stesso, a quanto pare – sussurrò.

– La covata... – iniziò a dire Procne.

– Dice che preferisce vedere i suoi piccoli morire piuttosto che costringerli a vivere come schiavi, allevati soltanto per nutrire dei mostri che distruggono le altre razze.

– No! Ieri notte abbiamo compiuto l’accoppiamento finale. La covata sta per nascere! – Appoggiò una mano sottile sulla sua tasca ventrale. – L’essenza di cui si devono nutrire sta aumentando nel suo sangue. Se non sarà qui quando nasceranno, moriranno. E se muoiono senza ripulirla...

– Morirà anche lei – concluse il capitano. – Lo sapeva.

Mojo aggrottò la fronte.

– Come faceva a sapere di Weitz? L’hai detto solo a me e a Cutter, soltanto stamattina.

Il capitano scosse il capo. Cutter scrollò le spalle.

A Feran in quel momento gli sembrò di trovarsi fuori dal proprio corpo e di osservare la scena in modo distaccato, incapace di agire. Ma in realtà aveva agito e quello era il risultato. Sentì una voce che diceva:

– Sono stato io.

Gli sembrò che venisse da un’altra parte, e solo quando tutti si voltarono a guardarlo si accorse di aver parlato. Cadde il silenzio.

Il capitano si inginocchiò davanti a lui e tutte le parole che Feran aveva cercato prima di quel momento uscirono fuori come un torrente. Piegò la testa da un lato, offrendo la gola al capitano, offrendogli la sua vita. Ma invece l’uomo lo circondò con braccia calde e lo strinse forte. Feran sapeva che era un “abbraccio” e lo trovò stranamente consolante. Il capitano sussurrò:

– Oh, Feran...

E Feran prese a singhiozzare.

– E ora cosa facciamo – ringhiò Cutter quando il capitano si rialzò.

Attesero. Poi il capitano parlò, con la stessa voce calma che aveva quando raccontava a Feran una storia.

– Il piano resta lo stesso, con un solo cambiamento. Pro viene con noi. – Si voltò verso Procne, e Feran sentì quell’immobilità che cala quando due maschi alfa si affrontano. – Noi due non ci siamo mai veramente chiariti. Sapevo che lei aveva bisogno di entrambi. Tu non mi hai mai perdonato e non ti sei mai fidato di me. Non posso dire di biasimarti. Beh, ora ti chiedo di fidarti di me. Anche soltanto perchè sai che non le farei mai del male.

Procne fissò il capitano per numerosi battiti del cuore di Feran, poi annuì. Il capitano si voltò verso Cutter.

– Porta dentro Pro. Fai in modo che sembri con le mani legate. – Poi, rivolgendosi a tutti, aggiunse: – Nessuno si muova finché non mi muovo io, e io non lo farò finché non scopro dove tiene Phi. E ricordate: Weitz ci serve vivo.

Borbottando a mezza voce, Cutter trascinò Feran dentro la cupola. Feran si guardò indietro. Il capitano e Mojo si diressero verso l’ingresso principale con le lunghe tuniche chiuse, per nascondere le armi e per ripararsi dalla pioggia fredda e insistente che aveva iniziato a cadere.


All’interno, Feran vide Guppert che attendeva vicino a due Cuccioli di Pietra. Corse verso di loro, felice di allontanarsi dal deprimente Cutter, poi si fermò. Sul fianco nascosto di una delle enormi bestie di silicio erano state fissate delle armi. I Cuccioli stavano accucciati sul pavimento, e la spalla di Guppert arrivava al livello delle loro groppe possenti.

Guppert fece un sorriso furbo e fece scorrere un grasso pugno sul fianco roccioso dell’animale più vicino.

– Guppert pensa che cuccioli sono bella protezione.

Indicò il pavimento. – Quando c’è Guppert, piccolo, arrivi fino qui, se io lo dico. – Caracollò verso l’altro lato dei Cuccioli, dove c’erano ad attenderlo alcuni secchi d’acqua e una spazzola. – Ora ci diamo da fare per sembrare non pericolosi.

Lui e Feran iniziarono a spazzolare i Cuccioli. Cutter e Procne, legato con le mani dietro la schiena, stavano tra loro e l’ingresso.

Feran fu il primo a sentirli.

– Sono arrivati – sussurrò.

Cutter annuì. Qualche secondo più tardi, due uomini in uniforme da SS della RIP entrarono con le armi spianate. Si guardarono intorno poi uno di loro gridò: – Tutto tranquillo.

L’uomo faina entrò, seguito dal capitano e Mojo più altri uomini con le uniformi da SS. Feran li contò e tutte le volte che un’altro varcava la soglia, la sua speranza si affievoliva sempre di più.

Dieci, più i primi due e l’uomo Faina. Quattro trasportavano una cassa di metallo, con le armi in spalla.

– Tredici. Dannazione, odio il tredici – mormorò Cutter mentre si allontanava da Procne, gironzolando verso un Cucciolo. Senza smettere di spazzolarlo, Guppert si spostò verso il fianco nascosto della bestia. Feran lo seguì.

L’uomo faina si guardò intorno. – Dov’è il resto dell’equipaggio?

Il capitano scrollò le spalle. – Sono morti o hanno disertato.

L’uomo faina sollevò un sopracciglio e guardò i suoi uomini. Il capitano annuì in direzione della cassa.

– Quella è la nostra roba? – chiese, sollevandosi una manica fino a rivelare una confezione di MedStim. Premette il bottone su di essa. Feran sapeva che si era appena fatto una dose. Anche Mojo fece lo stesso.

L’uomo faina aggrottò la fronte. – Doveva esserlo.

Il capitano sorrise. – Ma hai cambiato idea.

– Abbiamo già la femmina... – disse l’uomo Faina.

– Si chiama Philomela – disse il capitano.

– E voi siete in una situazione di inferiorità numerica...

Il capitano annuì ancora. – Già. Solo un pugno di vecchi derelitti.

– ... quindi penso che ci prenderemo anche quell’altro.

– E lui si chiama Procne. – Il capitano colpì nuovamente la confezione di stimolanti. E così fece Mojo. Feran non aveva mai visto il capitano farsi due dosi. – Così pensi di lasciare me e Mojo a morire di una lenta agonia?

L’uomo faina strascicò i piedi. Feran annusò l’odore della sua paura. L’uomo indicò la cassa col mento.

– Quella roba vale una fortuna...

– E tu non hai bisogno di coprire i costi, vero? Dov’è lei? – chiese il capitano, facendosi una terza dose.

– Sulla mia nave, che attende la mia chiamata volando sopra le nostre teste. – L’uomo faina diede un colpetto al suo dispositivo di comunicazione. – Ora, perchè non...

Essendo un predatore, Feran fu il primo – a parte il capitano – a sapere che il momento era giunto. Il momento di uccidere. E in quel momento, per la prima volta, Feran si accorse di una cosa.

Anche il capitano era un predatore.

L’uomo faina stava ancora parlando. – ... la facciamo finita...

Il capitano e Mojo, muovendosi a una velocità che Feran non credeva possibile per un uomo, gettarono via le tuniche e spianarono le armi. IL capitano colpì l’uomo faina due volte, una volta sul braccio che teneva l’arma e l’altro nella gamba. Quando Mojo fece fuoco l’aria sfrigolò, e tre uomini caddero a terra morti prima di riuscire a sollevare le armi. Il capitano sparò altri tre colpi prima che l’uomo Faina cadesse a terra urlando.

Feran chiuse le pieghe delle orecchie per attutire le grida, mentre l’odore di aria bruciata gli aggrediva il naso. Cutter e Guppert colpirono un Ripper a testa da dietro i Cuccioli. Gli ultimi quattro, che avevano le armi a tracolla, morirono senza riuscire a impugnarle.

Mentre osservava la scena, Feran sentì soltanto paura. Non per tutta quella morte, perchè la morte la conosceva, ma per l’espressione dipinta sul viso del capitano.

Era l’espressione di un predatore.

Il capitano scavalcò i corpi per arrivare nel punto dove l’uomo faina giaceva come un animale in trappola, e gli puntò la pistola alla testa.

– Chiama la tua nave. Dì loro di atterrare fuori da questa cupola per prelevare l’altro Angelo.

L’uomo faina sputò un grumo di sangue.

– Fottiti.

Il capitano appoggiò la bocca dell’arma alla fronte dell’uomo faina. Questo inghiottì a vuoto ma scosse la testa.

– Non uccideresti mai un uomo disarmato a sangue freddo, Trelayne,. Non ne sei capace.

Ma a parte un leggero tremito in un occhio, il capitano sembrava scolpito nella pietra. Poi iniziò a ridere. Rise e rise fino a che Feran ricominciò ad avere paura: paura di non conoscere davvero quell’uomo. All’improvviso il capitano allungò una mano verso il basso e afferrò l’uomo faina per la gola, sollevandolo finché i suoi piedi smisero di poggiare per terra. Feran non aveva parole per descrivere ciò che vedeva negli occhi del capitan mentre, all’interno della cupola, la sua voce tuonava.

– HO STRAPPATO NEONATI DALLE BRACCIA DELLE MADRI. HO UCCISO MIGLIAIA DI PERSONE E LE HO GUARDATE MORIRE COL SORRISO SULLE LABBRA. HO CANCELLATO INTERE RAZZE. PICCOLO UOMO, IO SONO CAPACE DI COSE CHE NON PUOI NEANCHE IMMAGINARE.

Poi il capitano lo lasciò andare e lo guardò, e Feran colse la tristezza nelle parole che aggiunse, quasi in un sussurro.

– Sono capace di fare qualunque cosa.

L’uomo faina giaceva nella polvere, ansimando. Poi sollevò lo sguardo e Feran capì che il capitano aveva vinto. L’uomo faina gli stava mostrando la pancia e il collo nudo, in segno di sottomissione. Prese il dispositivo di comunicazione con mano tremante e vi parlò dentro. Feran non riuscì a sentire le parole, ma vide il capitano annuire verso gli altri.

Feran si rilassò. Guppert e Cutter si stavano dando delle pacche sulla schiena. Mojo stava seduto ingobbito per terra, singhiozzando con la testa tra le ginocchia, ma apparentemente illeso.

Un grido tagliò l’aria. Feran si voltò, snudando i denti. Sospeso in alto sopra di loro, Procne batteva le ali, la testa tirata all’indietro e il viso contorto in agonia. La sua tasca ventrale si gonfiò poi esplose e da essa si liberò una nuvola di creature alate e insanguinate, che si gettarono stridendo verso di loro.

La covata era nata.


Trelayne non aveva assunto dosi da combattimento di Scream da oltre due anni. La morte e la gioia che essa gli aveva donato, lo avevano scosso. Ora, mentre l’intera covata pioveva su di loro dal cielo in un caos sanguinante, si accorse che il suo controllo sulla realtà stava lentamente scivolando via.

Sapeva che la covata doveva vivere, altrimenti Phi sarebbe morta. Cercò di seguire i loro movimenti, ma lo Scream continuava ad attirarlo verso i cadaveri insanguinati. Si accorse che anche la covata era attratta da essi.

I pulcini assomigliavano a rospi alati con visi umanoidi, grigi e lisci. La covata sciamò sui corpi, affondando in ogni ferita aperta che trovavano l’appendice lunga e sottile che usciva dai loro addomi. Ma su ogni punto si trattenevano soltanto un secondo, e dopo ogni tentativo si facevano più frenetici.

Scream, pensò. Hanno bisogno di sangue che contiene lo Scream.

– Trelayne!

Il grido lo fece voltare. Weitz stava in ginocchio, con il fucile Tanzer stretto in una mano tremante. Aveva un braccio e una gamba coperti di sangue, e un rivolo scorreva da un taglio sulla fronte. Spianò il fucile verso Trelayne.

La covata raggiunse Weitz prima che riuscisse a fare fuoco, sopraffacendolo, affondando le appendici in ogni ferita, negli occhi grondanti di sangue colato dalla fronte, tastando, cercando.

Urlando, l’uomo cercò di strapparseli di dosso, poi si irrigidì e cadde faccia in avanti.

I pulcini si staccarono dal cadavere, raggruppandosi in uno sciame stridente e svolazzante sospeso sull’anello. Iniziavano a stancarsi.

Stanno morendo, pensò Trelayne. Sangue con Scream. Sangue con Scream.

Si aprì la camicia sul petto, strappandola. Estrasse il coltello dalla cintura e si tagliò il torace e la parte alta delle braccia. Gettò il coltello e rimase con le braccia aperte, mentre il sangue gli colava addosso, in attesa che l’odore dello Scream raggiungesse la covata.

I pulcini si gettarono in picchiata su di lui dall’alto, attratti come api dal miele, affondando le appendici nella carne in tutti i punti in cui sanguinava. Il livello di dolore raggiunse una punta che neppure lo Scream poteva permettergli di sopportare. Un baratro oscuro si aprì sotto di lui, e si sentì cadere.


Trelayne si svegliò in posizione supina. Una luce pallida e verdastra illuminava la paratia sopra la sua testa. La forza che lo schiacciava sul letto e la vibrazione sorda dei motori gli disse che si trovava a bordo di una nave in accelerazione.

Sentiva che c’era qualcosa di sbagliato. No. C’era qualcosa di giusto. Finalmente si sentiva bene. Si sentiva umano. Sentiva....

Dolore. Dolore vero. Dolore che faceva male. Cercò di alzarsi.

– Il capitano è tornato tra noi. – Era la voce di Feran.

– In molti versi, ragazzo volpe, in molti versi.

Sopra di lui comparve la faccia di Cutter. – Stai fermo, percaritadiddioi. O finirai per far riaprire le ferite.

Trelayne rimase straiato, boccheggiando.

– Cos’è successo?

– Abbiamo vinto. Abbiamo preso la nave di Weitz.

– E Mojo? Procne? Phi... dov’è Phi? – rantolò.

La sua voce giunse fino a lui dall’altra parte della stanza.

– Tutta la tua famiglia è al sicuro. Guppert, i Cuccioli. Sono tutti qui con noi.

Trelayne girò la testa. Lei era sdraiata in un’altra cuccetta. Procne dormiva al suo fianco.

– Non sapevo di avere una famiglia – disse, debolmente.

– Noi lo sapevamo, Jason Trelayne. Siamo sempre stati la tua famiglia.

Cutter si fece da parte e Trelayne riuscì a vedere i pulcini attaccati a lei. Phi sorrise.

– Sì. Hai salvato i miei piccoli.

– È da un sacco di tempo che non vedevo quel sorriso, Phi.

– È un sacco di tempo che non avevo motivo di sorridere.

– Mi sento.... mi sento....

– Senti vero dolore. E ti chiedi perchè.

Il suo sguardo si abbassò verso qualcosa che stava al suo fianco. Solo in quel momento Trelayne si accorse che uno dei pulcini era vicino a lui e che la minuscola creatura aveva le appendici ancora affondate dentro di lui. Cercò di allontanarsi.

– Stai fermo, dannazione – sbottò Cutter. – Quel piccolo aspirapolvere orrendo non ha ancora finito di ripulirti.

– Di cosa stai parlando?

Cutter controllò un monitor sul muro al di sopra della cuccetta.

– Nutrendosi, il pulcino ha ridotto la concentrazione di Scream nel tuo sangue praticamente a zero. Ma la cosa migliore è che non hai nessun sintomo di astinenza. TI ricordi quando hai cercato di disintossicarti, quando abbiamo fondato la colonia?

Trelayne annuì, rabbrividendo al solo ricordo.

Cutter si massaggiò il mento.

– Questi piccoli bastardi devono iniettarti qualcosa nel sangue, per permettere al corpo di abituarsi a concentrazioni minori di Scream. Anche gli angeli devono aver bisogno della stessa cosa quando la covata si nutre da loro. – Guardò Trelayne. – Hai appena regalato una nuova vita a tutti gli Screamer che la Entity ha mai fregato.

Mentre le implicazioni di quelle parole attecchivano dentro di lui, sulla porta apparve la faccia di Mojo. Anche lui aveva un pulcino attaccato a sé.

– Ci stiamo avvicinando al punto di inserimento per il balzo. Dove stiamo andando, cap?

Sul gruppo scese il silenzio e Trelayne si accorse che stavano aspettando la sua risposta. Si ricordò di qualcosa che aveva detto Weitz e sorrise nonostante il dolore.

– Ho sentito dire che ci sono ancora dei ribelli su Fandor IV.

Mojo fece un sorriso furbo e scomparve insieme a Cutter, diretto verso il ponte di comando. Trelayne si voltò verso Feran. Il cucciolo di volpe si allontanò. Il sorriso di Trelayne si spense nel momento in cui capì. Fissò il cucciolo poi parlò con voce sommessa.

– Feran, il capitano Trelayne che hai visto nella cupola oggi... è morto insieme a tutti quegli altri uomini. Hai capito?

Un’eternità passò. Poi Feran corse da lui e lo abbracciò troppo forte, tanto forte da fargli male. Le ferite gli facevano male. Il piccolo attaccato al fianco gli faceva male. Dio, tutto gli faceva male ed era meraviglioso sentire il dolore e desiderare che finisse.

Più tardi la nave rallentò per effettuare il balzo e l’assenza di gravità lo ghermì. Ma per Trelayne, questa volta la sensazione non fu quella di cadere. Invece gli sembrò di salire in alto, di librarsi su una vita che finalmente iniziava a lasciarsi indietro.

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